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News di settoreIl diverso regime probatorio tra l’azione di rivendicazione e l’azione negatoria (Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 1905 del 23/01/2023)

15 Luglio 2023
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L’azione di rivendicazione e l’azione negatoria, disciplinate rispettivamente dagli artt. 948 e 949 del codice civile, sono unitamente all’azione di mero accertamento della proprietà, di regolamento di confini ed a quella per l’apposizione di termini azioni imprescrittibili a tutela del diritto di proprietà, più comunemente conosciute come azioni petitorie.

In maggiore dettaglio:

  • L’azione di rivendicazione è esperibile da colui il quale si affermi proprietario di un bene (di cui non ne abbia il possesso e/o la detenzione) al fine di ottenere da un lato l’accertamento del suo diritto di proprietà sul bene stesso, e dall’altro la condanna di chi lo possiede o lo detiene alla sua restituzione.
  • L’azione negatoria è concessa, invece, al proprietario cartolare di un bene al fine di ottenere l’accertamento dell’inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul bene stesso, oltreché la condanna alla cessazione delle eventuali molestie e turbative ed al risarcimento del danno.

Uno dei profili dei summenzionati istituti che merita maggiore approfondimento è il differente regime probatorio.

Quella di rivendicazione è un’azione molto complessa in termini di istruttoria processuale, e ciò in quanto la giurisprudenza maggioritaria è ormai unanime nel ritenere che colui il quale intenda avvalersene ha il rigoroso onere di fornire la cd. probatio diabolica del proprio diritto mediante la produzione in giudizio di tutti gli atti di acquisto dei propri danti causa, sino ad arrivare, risalendo nel tempo, a colui il quale ha acquistato a titolo originario (N.B. è controverso in giurisprudenza se l’onere probatorio dell’attore possa attenuarsi nel caso in cui il convenuto chieda in via riconvenzionale l’accertamento dell’intervenuta usucapione del bene).

Di contro l’azione negatoria, che può essere esperita solo nel caso in cui il proprietario cartolare del bene ne abbia ancora il possesso e/o la detenzione, contempla un onere probatorio molto più attenuato rispetto a quello previsto per l’azione di rivendicazione, e ciò in quanto non mira ad accertare il diritto di proprietà del bene – diritto che va comunque provato in giudizio mediante la produzione del titolo di acquisto ai fini dell’interesse ad agire – ma è preordinata solamente ad un accertamento negativo dell’inesistenza sullo stesso di diritti altrui.

Sul punto, da recente, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 1905/2023, ha ribadito il consolidato principio di diritto secondo cui, con particolare riguardo all’accertamento negativo di un diritto di servitù: “la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in giudizio per far accertare l’inesistenza dell’altrui diritto di servitù su un fondo del quale affermi di essere il proprietario ha l’onere non già di fornire, come nell’azione di revindica, la prova rigorosa della proprietà del fondo, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma all’ottenimento della cessazione dell’attività lesiva, spettando, invece, al convenuto l’onere di provare l’esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dalla controparte.”

La superiore recentissima pronuncia del Supremo Collegio, uniformandosi ad un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, riconferma una disciplina di maggior favore per il proprietario che si trovi nella detenzione e/o nel possesso del bene e che veda molestato e/o turbato il proprio diritto da parte di terzi, e ciò concedendo allo stesso di esperire un’azione negatoria con la conseguente attenuazione del rigore probatorio.

Pertanto, al fine di tutelare al meglio le ragioni di chi si veda compromesso e/o comunque frustrato il proprio diritto di proprietà su un bene, è opportuno scegliere con scrupolo e perizia l’azione giudiziale meno gravosa (in termini di prova) per conseguire il risultato utile sperato.

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